“quante fragole ci sono nel mare?” ZERO! risponde Andrea che ancora non ha scoperto che lui, proprio lui, può farne comparire ben undici tra le onde e poi farle risucchiare da un forte vento. Con la collaborazione di Alice il risultato è proprio piacevole e Gianni Rodari l’avrebbe approvato.
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In punta di dita
Nei cartoni animati le mani dell’animatore non si vedono (quasi) mai, come non si vedono le mani del pittore in un quadro o quelle del falegname guardando un tavolo.
Eppure, la mano dell’autore – invisibile per chi guarda l’opera compiuta – lascia un’impronta indelebile e personalissima, proprio come se fosse una firma.
Nei cartoni animati in corsia le impronte sono tante, almeno quanti sono i personaggi e i dettagli che li caratterizzano. Mettiamo, per esempio, un elefante. Nelle mani di Gloria è color verde prato e si fa la doccia con il tè, è rosso e piccolino ma abilissimo a stare in equilibrio su due zampe l’elefante di Giampaolo, c’è il dino-elefante di Tomas, ha il tutù e si muove con grazia quello di Samar, ha la grinta di un leone quello giallo di Asia che salta attraverso il cerchio di fuoco ed è un energico percussionista l’elefante azzurro di Morgana e Nicola, elegante e variopinto quello di Oumayma.
Affusolate, cicciottelle, grandi o piccoline, ferme, lente, meticolose, veloci, entusiaste frettolose, allegre con unghie colorate o timide, nascoste, e poi all’improvviso, allegre spiritose e ballerine. Sono tutte diverse le mani dei giovani pazienti animatori. Ci sono quelle che esitano e quelle che strappano divertite la carta colorata e poi rallentano sulle curve, cercando una forma, come abili piloti. Mani che muovono con abilità e delicatezza i pezzettini di carta strappata e dita che fulminee fanno click.
Tutte queste mani, con l’aiuto fondamentale degli occhi, del pensiero e degli umori del momento, scelgono i colori, li abbinano, dai cartoncini rettangolari strappano via forme che unite le une alle altre formano i personaggi e gli sfondi e si avvicinano caute ed emozionate alla scatola luminosa chiamata “Casetta dei Cartoni” e al computer portatile che sta vicino.
Sullo schermo si vede tutto quello che succede sotto l’occhio attento della webcam, affacciata a testa ingiù ad un foro sul soffitto della Casetta. Si posizionano i personaggi nell’inquadratura e sulla tastiera del computer, con un click, si scatta la prima immagine.
Il tocco magico delle dita che spostano i personaggi e di quelle che fotografano, schiacciando al momento giusto il tasto invio, lasciano fuori campo le mani dell’animatore e le espressioni del suo viso e di chi assiste o aiuta. Fuori dall’inquadratura tutto quello che non si vedrà nel cartone animato: la stanza dell’ospedale, il letto o la sedia su cui si lavora, il tavolo o il comodino dove la casetta dei cartoni è appoggiata, i genitori o i maestri che osservano partecipi, il passaggio di infermieri e medici curiosi.
Di tutto questo brulicante fuori campo che resta invisibile, grazie a fortunati momenti di distrazione, saltano fuori le mani di chi ha realizzato l’animazione, intrappolate in qualche fotogramma.
Dopo tanti piccoli movimenti e tante fotografie, vedere che la carta strappata prende vita e si muove da sola, è un prodigio da mostrare orgogliosi ai primi spettatori a portata di mano, simile all’aver imparato ad andare in bicicletta…senza mani.